ISTAT: cos’è, come funziona e di cosa si occupa

L’ISTAT è l’Istituto nazionale di statistica italiano. Raccoglie, elabora, analizza e diffonde informazioni statistiche ufficiali a livello nazionale e internazionale.

L’ISTAT svolge inoltre un ruolo fondamentale nella progettazione e nell’implementazione del sistema statistico nazionale, nonché nel coordinamento statistico con altre istituzioni nazionali e internazionali.

L’Istituto ha sede a Roma e dipende dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. L’ISTAT è membro fondatore del Sistema statistico europeo, con il quale collabora strettamente per la produzione di statistiche armonizzate a livello europeo.

L’ISTAT è stato fondato nel 1926 come Istituto Centrale di Statistica ed è diventato un’agenzia governativa a tutti gli effetti nel 1934. Nel corso degli anni, il suo nome e la sua struttura hanno subito diversi cambiamenti, riflettendo le mutate esigenze amministrative del Paese.

Oggi l’ISTAT è uno dei maggiori istituti statistici d’Europa, con circa 1.300 dipendenti. L’istituto è composto da 12 direzioni, 3 uffici regionali e 38 uffici provinciali. Le principali attività dell’ISTAT possono essere suddivise in quattro aree principali:

  • produzione di statistiche ufficiali
  • coordinamento del sistema statistico nazionale
  • partecipare ai programmi di cooperazione statistica internazionale
  • svolgere attività di ricerca e promuovere l’innovazione nel settore delle statistiche.

Le statistiche ufficiali prodotte dall’ISTAT coprono un’ampia gamma di argomenti, dall’economia e finanza alla popolazione, alle condizioni sociali, all’istruzione, alla salute, all’industria, all’agricoltura e all’ambiente.

L’istituto produce anche statistiche su temi specifici come il turismo, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), il commercio internazionale e i trasporti.

L’istituto lavora a stretto contatto con le altre agenzie governative e gli enti che producono dati statistici, al fine di garantire la qualità e la comparabilità dei dati prodotti.

L’ISTAT svolge un ruolo importante anche nei programmi di cooperazione statistica internazionale. L’Istituto è membro fondatore del Sistema statistico europeo (SSE), con il quale collabora strettamente per produrre statistiche armonizzate a livello europeo.

L’ISTAT è anche membro di diverse organizzazioni internazionali, come la Commissione statistica delle Nazioni Unite (UNSC) e il Consiglio statistico, economico e sociale dell’Unione europea (SESC).

Quali sono le statistiche più importanti dell’ISTAT

Tra le statistiche più importanti dell’ISTAT vi sono:

  • Statistiche demografiche, come la dimensione e la crescita della popolazione, le nascite, i decessi, i matrimoni e i divorzi
  • Statistiche economiche, come il PIL, l’inflazione, la disoccupazione e la bilancia dei pagamenti
  • Statistiche sociali, come l’istruzione, la salute e la criminalità
  • Statistiche ambientali, come le emissioni e il consumo di energia.

Storia dell’ISTAT

Nei primi anni di vita, l’ISTAT era responsabile della produzione di dati statistici sull’economia e sulla popolazione italiana.

Negli anni ’50 e ’60, l’istituto ha iniziato a produrre statistiche su una gamma più ampia di argomenti, tra cui l’istruzione, la sanità, l’industria e l’agricoltura.

Tutto sui numeri a valore aggiunto di tipo 899

Il numero a valore aggiunto 899 è un servizio telefonico che può essere usato per inviare messaggi vocali e di testo, così come fax. È stato creato dalla North American Numbering Plan Administration (NANPA) nel 1994 e implementato inizialmente da AT&T Corporation con il nome di “DirectConnect”. DirectConnect è stato poi sostituito da altri servizi come Voice over Internet Protocol (VOIP)

chiamata a un numero 899 di cartomanzia

Lo scopo originale di questo prodotto era che le persone potessero connettersi l’una con l’altra senza dover pagare tariffe a lunga distanza. Quando fu introdotto per la prima volta, una chiamata all’899 costava 1,00 dollari al minuto. Tuttavia, queste tariffe sono state aumentate nel tempo perché ora è considerato più come un telefono cellulare che qualcosa progettato per chiamate gratuite tra amici. Usare questo numero può diventare costoso velocemente, perché non solo ci sono tasse mensili per il numero stesso, ma anche spese extra al minuto.

La ragione principale per cui la gente usa un numero a valore aggiunto 899 è perché può essere usato per distribuire rapidamente messaggi importanti. Per esempio, se una persona sta cercando di mettersi in contatto con qualcuno sulla base di un se non hanno un numero di telefono, possono invece usare questo prodotto per inviare un messaggio vocale o un testo. Questo è particolarmente utile per coloro che non hanno la casella vocale ma vogliono comunque la possibilità di raggiungere le persone anche se non rispondono al telefono.

Vantaggi dei numeri a valore aggiunto 899 per le aziende

Il più grande vantaggio per le imprese è la grande opportunità promozionale che fornisce. Questo servizio permette loro di condividere informazioni come vendite, aggiornamenti e cambiamenti di prodotti, ecc. direttamente con i loro clienti. Anche se qualcuno non prende il telefono per rispondere a una chiamata a valore aggiunto 899, si renderà conto che è successo qualcosa perché c’è un messaggio in attesa sul loro segreteria telefonica.

Usare un numero 899 è molto più conveniente per le aziende che pagare per usare un numero locale, specialmente se vogliono raggiungere persone in tutto il paese o anche a livello internazionale. Dà loro anche l’opportunità di avere molti numeri diversi senza dover pagare per ognuno separatamente. Inoltre, possono approfittare di caratteristiche come trasferimenti di chiamata, posta vocale, ecc.

Il numero a valore aggiunto 899 può anche essere utile per le campagne di marketing perché permette alle aziende di scegliere quante chiamate vogliono ricevere al mese. Per esempio, se il loro obiettivo principale è la generazione di lead, possono impostare una campagna di marketing 899 che invierà una chiamata ogni settimana o diverse chiamate ogni giorno.

Con l’inoltro automatico delle chiamate, questo script inoltrerà automaticamente le chiamate a diversi numeri di telefono a seconda di chi sta chiamando e per cosa sta chiamando.

Cosa sono i numeri 899 di cartomanzia?

Alcuni numeri 899 sono anche numeri di predizione.

Questi servizi forniscono informazioni come oroscopi, cartomanzia telefonica, consigli quotidiani, risultati della lotteria, ecc. che possono essere utili per coloro che hanno domande specifiche o che sono interessati a conoscere il futuro di qualcosa di importante per loro.

Le predizioni del futuro con i tarocchi sono affidabili?

I tarocchi sono uno strumento potente per vedere il futuro. Tuttavia, non è sempre accurato al 100%. Ciò che i lettori stanno effettivamente ricevendo sono forti intuizioni su probabili futuri che possono aiutarli a prendere decisioni migliori sulla loro vita.

Potrebbe essere difficile capire perché qualcuno non dovrebbe ricevere ciò che crede gli sia stato promesso da un servizio di cartomanzia, ma a volte le cose cambiano nel futuro e non accadrà come predetto.

Detto questo, ci sono molte persone che hanno usato questo tipo di informazioni per dare loro effettivamente un vantaggio contro la concorrenza o per prepararsi in anticipo ad eventi importanti.

Laura Bovoli: biografia della madre di Matteo Renzi

Insieme al marito Tiziano Renzi anche Laura Bovoli, nota anche come Lalla, è finita ai domiciliari con l’accusa di fatturazione falsa e bancarotta fraudolenta.

Ma chi è questa donna di cui tutti i giornali parlano?

Fino alla scorsa settimana Laura Bovoli era conosciuta solamente perché madre di Matteo Renzi, ex premier e segretario del Partito Democratico. Tutti sanno che Laura è un’ex professoressa delle scuole medie nonché imprenditrice insieme al marito Tiziano Renzi ma niente di più.

Laura Bovoli e la sua famiglia

Laura Bovoli è una sessantottenne che ha insegnato per molti anni nelle scuole medie.

Questa donna, nota a tutti per essere madre di Matteo Renzi, è in realtà genitore anche di altri tre figli.

Matteo è infatti il secondogenito, fratello di Benedetta, classe 1972, Samuele, classe 1983 e Matilde che è nata nel 1984.

Nicola Bovoli, fratello di Laura, è l’inventore del quizzy, un telecomando che, a partire dagli anni ’80, ha spopolato perché permetteva ai telespettatori di partecipare ad alcuni quiz televisivi comodamente seduti sul divano di casa propria.

Grazie a tale invenzione Nicola stipulò con la società Fininvest un contratto da 7 miliardi.

Questo contratto consentì in seguito allo stesso ex Premier Matteo di partecipare alla famosa trasmissione la ruota della fortuna.

Ruolo nella società Eventi 6

La Bovoli, oltre che svolgere la sua professione di insegnante, ricopre anche ruoli importanti nella società di famiglia Eventi 6.
Eventi 6 è un’azienda che si occupa di marketing, creazione e distribuzione di volantini pubblicitari nonché organizzazione di eventi.

Questa società negli ultimi anni (tra il 2013 e il 2016) ha visto triplicare le proprie entrate.

Il fatturato è passato da circa due milioni di euro nel 2013 a oltre sette nel 2016.

L’azienda dei coniugi Renzi lavora per società note come Euronics, il Resto del Carlino, Conad, Pagine Gialle, Mondo Convenienza e tante altre.

Prime vicende giudiziarie

Nello scorso maggio a Firenze Lalla inizia a essere protagonista di alcune vicende giudiziarie.

La Procura di Cuneo accusa la madre dell’ex Premier di aver eseguito otto fatture false per un totale di 80000 euro (indagine sulla bancarotta della società Direkta).

Il Fatto Quotidiano ha riportato un articolo nel quale spiega come la Procura di Cuneo stesse indagando sulla relazione tra la Eventi 6 e la Direkta.

Quest’ultima, prima della bancarotta, avrebbe operato come subappaltatrice di Rignano, riconsegnando una parte del denaro alla prima con giustificazioni, secondo il Fisco, poco credibili.

Gli arresti domiciliari

La Guardia di Finanza di Firenze sta portando avanti ulteriori indagini che vedono coinvolti i coniugi Renzi e che li hanno portati, pochi giorni fa, agli arresti domiciliari.

Oltre a Eventi 6, il Fisco sta indagando anche su altre tre aziende: Marmodiv, Delivery Service Italia e Europe Service.
Le investigazioni svolte su tutte queste società hanno portato gli inquirenti a due persone: Tiziano Renzi e Laura Bovoli.

In particolare gli agenti hanno cercato di comprendere il motivo del fallimento di queste società, soprattutto della Delivery Service Italia che ha chiuso i battenti nel 2011 per via di un eccesso di debiti.
I genitori di Matteo Renzi sono stati arrestati perché, nell’anno precedente al fallimento della Delivery Service Italia, il Gip ha riscontrato due evasioni contributive.

E’ stato sostanzialmente provato che tutti questi eventi si inseriscono in un unico progetto illegale che viene svolto ormai da molti anni.
Sotto gli occhi degli inquirenti è finita anche una mail inviata da Tiziano Renzi al genero Andrea Conticini nella quale spiegava come generare un fallimento della società Marmodiv.

In un’altra Laura Bovoli scriveva al marito riguardo la necessità di aprire una nuova cooperativa con lo scopo di aumentare gli introiti.
I piani della donna consistevano, in particolare, nel pagare tutti i dipendenti, dopo di che far firmare le dimissioni a ognuno di loro.
La nuova società, sommersa di lavoro, sarebbe stata successivamente indotta ad assumerli tutti.

Queste sono solo alcuni degli elementi sui quali si basa l’accusa verso Tiziano Renzi e Laura Bovoli ma secondo l’avvocato di famiglia gli arresti domiciliari rimangono una misura esagerata e incomprensibile.

Pagare su Aliexpress: si può usare una carta prepagata?

Aliexpress è un sito e-commerce che viene definito da molti come il vero e solo rivale del colosso rappresentato da Amazon.

Vediamo ora se è possibile effettuare il pagamento sfruttando le carte prepagate e come queste devono essere utilizzate.aliexpress logo carte prepagate

 

Aliexpress ed i metodi di pagamento consentiti

I metodi per effettuare il pagamento di un articolo presente sul portale di Aliexpress sono tre ed ognuno di essi si contraddistingue per diversi aspetti molto importanti.

In primo luogo occorre parlare del fatto che sul sito di Aliexpress è possibile effettuare il pagamento dei vari beni sfruttando la carta prepagata.

Indipendentemente dal circuito sarà possibile portare al termine la procedura di acquisto senza alcuna complicazione.
Gli altri due metodi sono rappresentati dal bonifico bancario e dal conto online Escroll e da quello AliPay.

In questi due casi è possibile collegare la propria tessera prepagata e portare al termine la procedura d’acquisto sfruttando il denaro presente nella stessa carta.

Di conseguenza è facilmente intuibile come la risposta al quesito iniziale sia di tipo positivo, ovvero è possibile comprare un oggetto effettuando la procedura di pagamento sfruttando una carta prepagata, sia che questa appartenga al circuito Visa o Mastercard.

Come avviene il pagamento con le prepagate su Aliexpress

Per quanto riguarda il mezzo mediante il quale avviene il prelievo della somma di denaro dalla stessa carta occorre sottolineare come Aliexpress adotti un modo di procedere completamente differente rispetto agli altri portali online.

Il sito online, infatti, non effettua il prelievo forzato dalla prepagata per l’intera somma di denaro che si intende spendere ma, al contrario, il cliente pagherà solo ed esclusivamente un terzo della somma di denaro complessiva.

Questo per evitare che lo stesso possa rimanere deluso dalla merce che ha ordinato oppure se questa dovesse essere danneggiata oppure essere differente rispetto quella presentata e descritta dai venditori iscritti su Aliexpress.

I restanti due terzi verranno prelevati da parte dello staff del portale una volta che il cliente riceve e valuta la merce acquistata sul sito web.
Nel caso in cui la merce dovesse essere perfetta il portale completa, mediante i suoi sistemi automatici, il prelievo per pagare la somma di denaro intera del bene.

Se invece la merce non dovesse soddisfare le esigenze del cliente, questo otterrà l’intero rimborso sulla somma di denaro che ha investito per effettuare la compera.
Il rimborso verrà effettuato entro tre giorni e l’ammontare verrà accreditato sulla carta prepagata.

Pertanto utilizzare questa tessera rappresenta una soluzione ideale che non deve essere messa in secondo piano rispetto agli altri due metodi proposti da Aliexpress.

Come inserire la carta prepagata su Aliexpress

Sul sito di Aliexpress è possibile inserire in modo rapido la propria carta prepagata completando il proprio profilo coi dati relativi al mezzo di pagamento selezionato.

Nella schermata apposita sarà necessario inserire i dati identificativi che riguardano la stessa carta, scrivendo numero identificativo, circuito, codice di sicurezza e data di scadenza.
Tutti questi particolari elementi garantiscono l’opportunità di sfruttare la carta prepagata per completare la procedura d’acquisto senza che vi possano essere complicazioni varie che potrebbero rallentare la compera stessa.

Per quanto riguarda l’acquisto sarà invece necessario selezionare gli articoli, porli nel carrello e successivamente convalidare la compera.

Di conseguenza utilizzare la carta prepagata su Aliexpress risulta essere un procedimento consentito e molto semplice da effettuare.

Cosa significa fare sesso telefonico alle linee erotiche 899?

Molte persone pensano che fare sesso telefonico sfruttando i diversi servizi che riguardano gli 899 sia completamente privo di momenti di goduria ma, le stesse persone che sostengono tale teoria sicuramente non hanno mai provato il piacere che deriva dall’utilizzo di questi servizi.

Vediamo ora cosa vuol dire avere un rapporto sfruttando questi numeri online.

sesso telefonico dal vivo

La varietà che riguarda il servizio

In primo luogo bisogna mettere in risalto il fatto che fare sesso telefonico con le linee erotiche 899 vuol dire trovare una vasta gamma di addette che sono pronte ad offrire dei momenti di piacere intensi ai loro partner virtuali, garantendo quindi la possibilità agli stessi di raggiungere un livello di goduria intenso che potrebbe non essere presente sfruttando altri tipi di servizi particolari che potrebbero essere tutt’altro che perfetti e piacevoli da sfruttare.

Occorre quindi ricordarsi che avere un rapporto sessuale sfruttando questo genere di servizio riesce a garantire la possibilità di vivere un momento intenso con persone sempre differenti che riescono a rispecchiare perfettamente ogni genere di di richiesta senza che vi possano essere particolari limiti che potrebbero rendere lo stesso tipo di rapporto meno piacevole del previsto.

Il servizio di linea hot 899 mette a disposizione diverse categorie di addette che riescono dunque nell’impresa di offrire quel genere di momento di relax e piacere che riesce a garantire la possibilità di liberare la propria mente da tutte quelle particolari voglie sessuali che molto spesso rimangono completamente inespresse e che potrebbero avere delle ripercussioni nella vita di tutti i giorni.

Il sesso discreto con le linee calde 899

Le linee 899 hanno anche un altro pregio che non deve essere sottovalutato e che, al contrario, deve essere necessariamente conosciuto visto che tale dettaglio riesce ad identificare perfettamente questo genere di servizio.

Avere un rapporto sessuale sfruttando i numeri porno della linea telefonica 899 vuol dire rimanere nell’anonimato e potersi godere quel momento di piacere senza temere di essere scoperti.

Si tratta di un insieme di dati molto importante che non deve essere per nessun motivo ignorato: le addette o gli addetti che offrono le loro prestazioni erotiche per via telefonica non indagheranno sull’identità di quella persona che ha deciso di consumare un rapporto sessuale sfruttando questo mezzo.

Occorre aggiungere anche il fatto che durante il sesso virtuale si potrà essere in grado di vivere quel genere di rapporto senza alcun limite: ogni genere di pratica potrà essere effettuata in totale libertà a patto che una persona mantenga sempre un contegno e rispetto tale da rendere la stessa telefonata migliore sotto ogni aspetto.

Avere un rapporto sfruttando questo servizio vuol dire riuscire a godere senza temere per la propria privacy, lasciandosi andare completamente senza particolari vincoli.

Il sesso ed il piacere col servizio

Il sesso ed i momenti di piacere saranno intensi ed allo stesso tempo privi di momenti morti, ovvero poco eccitanti, che riguardano tale servizio stesso.

I numeri hard 899 sono in grado di offrire la possibilità di poter vivere quel momento di piacere in maniera rapida, ovvero senza lunghi periodi di attesa e soprattutto senza parlare con dischi registrati.

Il rapporto sessuale con gli operatori di 899 sarà sempre reale e pertanto la goduria che si proverà potrà essere vissuta nel migliore dei modi, visto che la goduria che si proverà sarà reciproca ed allo stesso tempo in diretta.

Questo vuol dire fare tanto sesso piacevole sfruttando tale servizio, prevenendo una serie di momenti caratterizzati da noia che potrebbero essere poco piacevoli da vivere in prima persona.

Che cos’è il transatlantico di Montecitorio?

Palazzo Montecitorio

Un edificio ricco di storia e d’arte

Affacciato su piazza Monte Citorio e su piazza del Parlamento, Palazzo Montecitorio è una costruzione storica di Roma, presso il quale trova alloggio la Camera dei deputati della Repubblica.

Nel 1653, Papa Innocenzo X chiese a Gian Lorenzo Bernini di realizzare, proprio in questo luogo, una residenza per la famiglia Ludovisi.

Pare che, in epoca romana, qui si svolgessero delle assemblee elettorali, uso dal quale deriva il nome “mons citatorius” e che vi si scaricassero i materiali di risulta della bonifca del Campo Marzio.
Eccellente espressione del Barocco romano, l’edificio, realizzato dal Bernini, si adatta in maniera perfetta allo stile urbanistico preesistente.

All’interno di questo imponente palazzo, trova sede il Transatlantico, un corridoio, particolarmente lussuoso, che prende il nome del fatto che il suo arredamento richiami quello delle navi transoceaniche.

All’interno di questo corridoio, oggi, come nei tempi antichi, i Parlamentari della repubblica si incontrano per chiacchierare.

Un corridoio che è un vero gioiello

Il Transatlantico, in realtà, non è solo un corridoio come tanti, ma è un vero e proprio salone, situato accanto all’Aula del Parlamento italiano. Pavimenti in marmo policromo siciliano ed arredamenti disegnati dal celebre architetto palermitano Ernesto Basile, un soffitto realizzato seguendo i tipici arredi navali, ne fanno un luogo magico, frequentato da Deputati ed ex Deputati che, pur non ricoprendo più la carica, non riescono a staccarsi da questo suggestivo luogo.

Il “corridoio dei passi perduti” è l’astanteria del Parlamento, in luogo nel quale i Deputati sostano in attesa che ad una seduta succeda quella successiva e nel quale incontrano i giornalisti in possesso dell’accredito d’accesso.

La definizione “corridoio dei passi perduti” non è casuale e fa riferimento al fatto che gruppetti di tutti i partiti, assorti in infinite chiacchiere, passino ore ed ore in questo luogo che, per molti, è quello nel quale si perde la maggior parte del tempo in Parlamento.

Transatlantico e Massoneria

Un binomio che pare ormai acclarato

Da cosa deriva, però, secondo la storia la circonlocuzione “dei passi perduti”?

Alcuni ritengono che essa sia indubbio segno del carattere massonico del Governo Sabaudo.

In realtà, la definizione pare trarre origine dal fatto che questo fosse l’ultimo luogo in cui porre passi in terreno laico, un luogo di passaggio, precedente l’ingresso in una realtà inesplicabile, assoluta e differente.

Durante il rituale massonico, le porte di accesso restavano chiuse, così come la Loggia ed il vaso alchemico e, proprio per questo, i passi compiuti risultano perduti, perché fino al termine non è più possibile spostarsi liberamente e riguadagnare l’uscita.

Il Massone, inoltre, dovrà, forzatamente, perdere i passi, dimenticando tutto ciò che ha visto ed a cui ha partecipato.

Il Transatlantico, dunque, sarebbe stata la soglia prima del Tempio, un luogo paragonato allegoricamente alla magica porta di Roma, sulla ci soglia si trova la scritta palindroma “si sedes non is”, ossia, se siedi non vai se non siedi vai, uno speciale invito a varcarla per dar vita ad un’esperienza catartica e spirituale.

Una volta percorso il corridoio, la sala diviene spazio atto alla spoliazione dagli schemi mentali e dalle abitudini tipiche della vita profana.

Il cammino intrapreso, viene riportato alla memoria ogni qual volta la vita laica ci metta a contatto con problemi e difficoltà.

I passi perduti vengono guidati dal Fratello Esperto, che ci ha accolti in Aula, dicendoci di seguirlo ogni qual volta ci fossimo sentiti insicuri e smarriti.

Storia del fascismo

Nelle precedenti puntate, abbiamo messo a fuoco le premesse politiche, sociali ed economiche del regime, quelle che potremmo definire le “cause remote” che, nel lungo periodo, favoriranno il consolidamento del fascismo come Stato-Regime. Prima, però, di questo “matrimonio” con il quale le sorti dell’Italia resteranno legate al fascismo per un buon ventennio, e che fu “siglato” per così dire nel sangue passando attraverso alcuni momenti tragici (come il Delitto Matteotti e come gli attentati al Duce tra il 1925 e il 1926), ci fu tra Italiani e fascismo una fase di “fidanzamento” dall’andamento incerto ed altalenante.

Se nell’Italia di allora molti tra i politici borghesi si aspettavano uno “sbocco autoritario” della crisi del “biennio rosso” e del dopoguerra (alla Crispi o alla Pelloux), pochi avrebbero potuto prevedere che all’autoritarismo l’Italia sarebbe sì arrivata, ma con quella esperienza anomala che fu il fascismo. La frustrazione nazionalista non sarebbe stata sufficiente a Mussolini per ottenere consensi: come vedremo ancora nelle prossime puntate, il fascismo ebbe la meglio perché “conciliò” in un equilibrio ambiguo e instabile le istanze di conservazione con le spinte comunque “progressive” dei ceti medi che avevano fatto la guerra e non accettavano i vecchi quadri politico-sociali giolittiani (Gramsci se ne accorgerà quando nel 1926 al Congresso di Lione riconoscerà nel fascismo anche i caratteri di”movimento sociale”, oltreché di reazione).

Questo fu indubbiamente il “valore aggiunto” del fascismo che riuscì a catturare nel tempo a suo favore la forza avversaria (comunismo), deviata dall’obiettivo, in non debole analogia con la strategia nazista di conquista del potere così ben descritta da Ernst Nolte. Se questo comunque è sicuramente alla base del carattere duraturo e stabile del “matrimonio” ventennale tra Italia e fascismo, nella fase di “fidanzamento” (che potremmo dire iniziare tra il 1921 e le elezioni politiche del 06 aprile 1924) la leva decisiva del successo politico del futuro Duce fu indubbiamente l’alleanza con i conservatori moderati. Alleanza difficile, se non impossibile, sulla carta, per un politico che non aveva mai nascosto le sue origini socialiste e la propensione alla jacquerie; ma che a Mussolini riuscì non solo per la sua indubbia capacità di “mimesi” politica, ma anche per la sua cinica e spregiudicata abilità nel prolungare con energia lo spauracchio di un “pericolo comunista” (anche quando il “biennio rosso” era finito, quantunque Spagna e Germania negli anni 30 contribuiranno a confermare la paura comunista). In questo modo, il fascismo potè venire a patti con i conservatori, ma sottraendosi alla loro egemonia. Cominciamo comunque con ordine.

Il fascismo per come lo riconosciamo oggi nelle sue vesti trionfali dello squadrismo spavaldo e arrogante, nacque in modo spontaneo e imprevedibile dalle ceneri dell’interventismo di Sinistra. La fondazione il 23 marzo 1919 in Piazza S. Sepolcro dei primi Fasci di Combattimento, in una chiave di continuità con l’Interventismo di Sinistra del 1914-1918, fu seguita dalla pesante sconfitta elettorale del novembre successivo.

Questa esperienza, i cui termini del fallimento abbiamo descritto nella puntata precedente, non impedì, però, ai Fasci di esprimersi come punto di incontro tra la vecchia base dell’Interventismo di Sinistra (anarco-novatori come Massimo Rocca, sindacalisti rivoluzionari etc.) e futuristi ed Arditi (es. Bottai). I quali ultimi movimenti, aggregando gli elementi combattentistici più giovani e, quindi, culturalmente e politicamente più “vergini”, contribuirono ad imprimere al movimento una carica rivoluzionaria e militare del tutto imprevista, che colse di sorpresa lo stesso Mussolini.

Fu così che nacque lo Squadrismo il quale subito dimostrò enormi capacità nell’ applicare alla guerriglia interna e politica i metodi di “attacco rapido” dei reparti mobili e delle Squadre d’assalto dei Corpi Speciali dell’Esercito (MAS e Arditi), con effetti di intimidazione e di repressione degli avversari politici enormi e del tutto impensati. Subito, tra Squadrismo e borghesia agraria e commerciale (più prudenti banche e industrie) fu … “amore a prima vista”: lo Squadrismo, infatti, fu visto da questa borghesia quale antidoto ideale per avere ragione dell’arroganza delle Leghe Operaie e ben presto convogliarono nei fasci le più svariate associazioni patriottiche, nate per lo più spontaneamente contro sovversivi e “rossi”, e che trovarono una comoda legittimazione nella propaganda anti-comunista e “combattentistica” di Mussolini.

Ora, sugli assalti fascisti, senza volerli giustificare, si deve dire una cosa: le masse operaie facevano paura davvero; gli scioperi, quando avvenivano e paralizzavano le poste, gli impianti di luce, gas, acqua, mettevano davvero in ginocchio le grandi città, come veri e propri atti di sabotaggio degni di una guerra civile. Basti ricordare che le intimidazioni e i saccheggi della folla ai negozi a Milano nel 1919 indurranno i commercianti milanesi, disperati, ad affidare le chiavi alla locale Camera del Lavoro! Non può a questo punto meravigliare più di tanto la contro-reazione fascista, convinta di rispondere ad armi pari ad assalti di guerra civile.

Grande impressione, in questo senso, suscitò l’Assalto a Palazzo d’Accursio a Bologna il 21 novembre 1920, quando, insediatasi la Giunta di Sinistra, una bomba a mano fu lanciata da fascisti nella Sala Consiliare, provocando innumerevoli morti e feriti e l’inizio di quell’escalation contro le cooperative socialiste e comuniste che segnerà il culmine del successo fascista prima delle elezioni politiche del 15 maggio 1921. In questo clima, Mussolini si trovò al centro dell’attenzione politica e sociale, senza avere del tutto realizzato i modi e i tempi del suo successo! Questa incertezza di Mussolini è caratteristica dei suoi primi passi di parlamentare fino alla marcia su Roma (e oltre) ed è comunque sintomatica di un dato politico di prima importanza che lo condizionò per tutta l’azione successiva fino alla Marcia su Roma: se lo Squadrismo faceva paura fisicamente, alla lunga avrebbe potuto diventare un boomerang politico: come la borghesia d’ordine si era stancata dei torbidi comunisti, così presto si sarebbe stancata dei torbidi fascisti, lasciando il futuro Duce letteralmente “a terra” .

Ancora Mussolini è lontano dall’idea di un regime fascista per come si sarebbe delineato tra il 1926 e il 1928; eppure, quando già sulla metà del 1921, l’esperienza del “biennio rosso” è finita, Mussolini, da bravo tattico opportunista, “sente” che comunque con il mondo “romano” e parlamentare deve venire a patti. Issato al Parlamento il movimento fascista con la dote rilevante di 35 deputati (eletti grazie ai Blocchi Nazionali promossi da Giolitti), Mussolini tentò così la carta della “istituzionalizzazione” del fascismo stipulando il “patto di pacificazione” il 03 agosto 1921. L’accordo di pacificazione tra fascisti, popolari e socialisti (tra i firmatari figurerà anche l’On. Tito Zaniboni che, ironia della sorte, sarà uno dei più noti attentatori del Duce!) era rivolto al disarmo delle squadre, e fu il frutto dei “buoni uffici” del Presidente della Camera, il giolittiano Enrico De Nicola.

Se col “patto di pacificazione” Mussolini riuscì comunque ad entrare nel “grande gioco” del Parlamento ed acquisire legittimità contemporaneamente, il futuro Duce rischiò la sconfessione da parte del movimento fascista: le Squadre, infatti, rifiutarono il Patto. Dopo un duro braccio di ferro, Mussolini, per non essere identificato con la “teppaglia” e perdere così i vantaggi politici fin lì conseguiti, si rassegnò ad un modus vivendi ambiguo, per cui il patto non venne disconosciuto dal movimento, ma la sua applicazione venne affidata ai vari leader locali: il che equivaleva ad affossarlo, senza che Mussolini se ne assumesse direttamente la responsabilità politica.

Questa vicenda face maturare in Mussolini la consapevolezza che il fascismo, lungi dall’essere un movimento labile e liquido, si andava costituendo, grazie al cameratismo stretto delle Squadre d’Assalto e al loro radicamento territoriale, come una rete di “rassati” locali del tutto indocili e insensibili ad istanze di disciplina, vuoi politica, vuoi militare; un quadro di sostanziale anarchia che non muterà con la fondazione in dicembre del Partito Nazionale Fascista (PNF) che da subito si rivelerà un organismo farraginoso, pletorico, incapace di comando. Le Squadre, in particolare, temevano che la “normalizzazione” del fascismo (paventata anche da Mussolini), preludesse allo loro liquidazione, esaurita la loro funzione di contrasto ai Comunisti. Di qui, il paradosso politico per cui, finito il “biennio rosso”, la violenza squadrista non cessava e iniziava a prendere inopinatamente di mira anche esponenti repubblicani, cattolici, finanche democratici. Un messaggio neanche troppo scoperto a Mussolini affinchè non si amalgamasse con i “pescecani”, i “traditori della patria”, gli “uomini del parecchio” che il movimento intendeva sconfessare per prenderne il posto al comando dello Stato. Questa situazione, nello scorcio tra il giugno 1921 e l’ottobre 1922, creerà molti problemi a Mussolini.

In condizioni “normali”, infatti, lo Stato avrebbe reagito e isolato i fascisti, riducendo all’irrilevanza politica Mussolini. Fu solo la frammentazione politica e la sempre più accentuata debolezza degli esecutivi (indotta dalla crisi dello Stato liberale già descritta nelle precedenti puntate), ad impedire che le sorti politiche di Mussolini precipitassero: da un lato, la debolezza degli esecutivi rendeva difficile la risposta repressiva di Prefetti e Questori, i quali, strettamente dipendenti dal potere politico, erano restii a compromettersi, temendo di essere facilmente “scaricati” da Roma; dall’altro, l’ambiguità dei Presidenti del Consiglio Bonomi e Facta, i quali (nella loro vieta logica “trasformistica”) sperarono di utilizzare l’appoggio parlamentare del PNF per provocare una scissione dei riformisti del PSI in chiave anti-fascista (cosa che sarebbe avvenuta, ma tardivamente nell’ottobre 1922 con la fondazione del PSU con Segretario Giacomo Matteotti).

Questa “grande coalizione” liberale-democratico-riformista avrebbe avuto il necessario seguito popolare e sindacale per “scaricare” successivamente anche il fascismo e non a caso Mussolini la temeva di più, specie se alla sua guida fosse andato (come si ventilava) una vecchia volpe come Giovanni Giolitti: “come ha fatto sparare su d’Annunzio, così farà sparare anche sui fascisti”, pare abbia confidato Mussolini ai suoi. Per evitare questa eventualità, Mussolini giocò spregiudicatamente su due piani. Da un lato, consolidò la sua credibilità di leader conservatore di centro-destra (per spezzare il fronte parlamentare moderato), concependo, specie nel 1922, concessioni “clamorose” al fronte conservatore come: le aperture al liberismo economico tramite gli articoli di Massimo Rocca sul programma economico del PFN (che rompeva con la piattaforma socialisteggiante del Programma di S. Sepolcro); l’abbandono tra il settembre e l’ottobre 1922 della “tendenziale repubblicana” del fascismo verso un più marcato lealismo monarchico, che si diversificava da quello conservatore tradizionale, per l’accento posto sui meriti che la Monarchia, con l’Intervento del 1915 e la vittoria di Vittorio Veneto si sarebbe conquistata davanti all’Italia (in questo rassicurò l’Esercito, concorrendo a guadagnarsene non l’appoggio, ma quantomeno la neutralità politica); le concessioni sempre più marcate al Vaticano in termini di riconoscimento statale della Religione Cattolica e delle opere di istruzione, che porrà le premesse, ad esempio, del riconoscimento statale dell’Università Cattolica e dell’abbandono dei vertici vaticani dei referenti politici sturziani e popolari.

Dall’altro, Mussolini giocò scopertamente sul bluff politico, caricando il teppismo e il sovversivismo fascista di motivazioni di reazione anti-comunista, che non aveva, ma che erano indotte dalla paura della borghesia per la nascita, nel 1921 di un Partito Comunista d’Italia che tallonava il PSI sul fronte “estremista” e “rivoluzionario” con programmi di aperta sovversione bolscevica, creando al suo interno incertezze e divisioni: tanto da portare un autorevole dirigente riformista del PSI come Giacomo Matteotti a vedere nel Comunismo la tabe che avrebbe impedito al PSI di convogliare nel suo antifascismo le aspirazioni di quella borghesia d’ordine e legalitaria che, stanca dell’estremismo da qualunque parte provenisse, specie nel 1922, non sarebbe stata insensibile ad una liquidazione dello Squadrismo e del fascismo stesso, in nome della “normalizzazione”. Mussolini, cavalcando queste ambiguità e divisioni della Sinistra, invece, fu abilissimo nel proporre sé stesso come garante della “normalizzazione”, giocando apertamente al bluff politico-giornalistico, accreditando l’impossibilità di venire a capo dei permanenti perturbamenti dell’ordine pubblico, se i Giolitti e soci non si fossero decisi a dargli tutto il potere nelle sue mani (Palazzo Chigi).

Il grande bluff politico fu la marcia su Roma del 28 ottobre 1922, quando Mussolini riuscì ad ottenere la Presidenza del Consiglio, dando ad intendere ai politici di Roma (coi quale pure si coalizzò per costituire un Ministero) che una soluzione anti-fascista avrebbe provocato una sorta di nuovo assalto al “Palazzo di Vetro” da parte dei fascisti. Ma se questo evento riuscì così efficace nel dare al fascismo un’aura di invincibilità che in realtà allora non aveva (almeno militarmente), ciò lo si dovette all’intensa propaganda costruita da Mussolini e dal Popolo d’Italia attorno a due grandi eventi dell’estate, che confermarono presso il pubblico la fama di Mussolini come “castigamatti dei sovversivi”: da un lato, la sconfitta dello sciopero legalitario, proclamato dall’Alleanza per il lavoro il 01 agosto 1922, in chiara funzione anti-fascista, da Comunisti, Socialisti, Repubblicani, CGIL e Sindacalisti rivoluzionari antifascisti, quando le forze nazionali, capeggiate da Mussolini decisero di contrastare lo sciopero riattivando dove possibili tutti i servizi necessari alla popolazione (in Emilia, comunque, ci fu una lunga coda di violenze politiche); dall’altro, la vicenda dell’occupazione fascista del Comune di Milano il 03 agosto 1922, a maggioranza socialista.

Fu attraverso queste “prebende” che il Duce riuscì ad ottenere dalla Camera dei Deputati il 16 novembre 1922 la piena investitura del suo esecutivo e la prima delega ai “pieni poteri” per stabilire l’ordine pubblico in Italia. Sotto il ricatto dell’assalto dei manipoli che sarebbero intervenuti in caso di esito infausto del voto, il Duce ottenne dall’ “Aula sorda e grigia” di Montecitorio un primo indubbio successo: piegare una maggioranza di centro-sinistra (da fascisti, popolari, liberali, democratici, nazionalisti etc.), numericamente forte, ma senza spina dorsale politica e che in altre condizioni avrebbe certamente votato Giolitti, a votare per il parvenu di Predappio. Che non se ne sarebbe andato via se non dopo quasi 21 anni.

La storia della breccia di Porta Pia

La breccia di Porta Pia è un momento fondativo dell’unità e dell’identità nazionale. Oggetto di controversie tra i “liberali massoni” e i cattolici per svariati decenni, nel ricorrere oggi dei 140 anni, dispiace trovare ancora diffuse nei quotidiani frasi di questo tipo: “con Porta Pia è nato lo Stato laico” (Filippo Facci, Abbiamo riconsegnatoPorta Pia al Vaticano, Il post, oggi).

Come se prima di Porta Pia, lo Stato Pontificio fosse uno stato tipo l’Iran di Khomeini e i cattolici simili ai talebani di Bin Laden! Anticlericalismo superficiale, d’accatto, assolutamente privo di senso storico. Allo stesso modo, non è del tutto centrata la lettura in chiave di “rivoluzione italiana” dotata di una (relativa) base popolare come scrive oggi Diego Mengon in Libertiamo.it (Oggi, 140 anni fa, Roma diventa italiana. E l’Italia un pò romana):”la Repubblica del 1849 era stata instaurata con la sollevazione di buona parte degli abitanti della capitale, proprio in conseguenza del mancato appoggio alla causa nazionale da parte di Pio IX, durante il conflitto tra gli stati italiani e l’Austria.

L’inno d’Italia testimonia la nascita della nazione dallo scontro tra il potere temporale della Chiesa e la lotta costituzionale e liberale per l’unità della patria.

Il suo autore, Goffredo Mameli, morì nel 1849 sotto i colpi degli eserciti cattolici accorsi a Roma da tutta Europa per ripristinare l’autorità papale”. Due stereotipi (il Risorgimento come “rivoluzione anti-papista” e come “rivoluzione popolare”) entrambi fuorvianti per comprendere (oltrechè il Risorgimento) anche i moventi della “questione romana”.

Innanzitutto, si dimentica troppo spesso che la “questione romana” non sorge nel 1870, con Porta Pia; e non sorge nemmeno per la repressione dei moti del 1849 che determinarono la fuga del Papa da Roma e la nascita della (effimera) Repubblica Romana di Saffi e Mazzini. Viceversa, il 20 settembre costituisce la punta dell’iceberg della “questione ecclesiastica” scoppiata almeno fin dal 1852 nel Regno di Sardegna con le leggi Siccardi e le prime leggi “eversive” dell’asse ecclesiastico, che posero le basi della massiccia confisca a favore dell’Erario italiano di conventi e beni ecclesiastici; opera di confisca che, per altro, si accentuò tra il 1861 e il 1864 in pieno brigantaggio, quando i “clericali” furono effettivamente visti come “nemici interni” del nuovo Stato per l’appoggio ufficiale dato da Papa Pio XI alle rivendicazioni di Re Franceschiello, ovvero al principale animatore delle rivolte anti-sabaude nel Sud, dove i briganti fecero la parte dei leoni, dando non poco filo da torcere al neo-esercito italiano.

Sullo sfondo delle tensioni Stato-Chiesa, poi, non c’è solo una questione di “privilegi” economici, ma anche dispute legate al conflitto di giurisdizione tra Stato e Chiesa, tipici non solo in Italia, ma anche in Europa. Chiariamo subito: nessuno mai da Costantino in poi, si sognò mai tra i cattolici di imporre il Vangelo come legge dello Stato e di imporre pene coercitive per chi contravveniva al Vangelo, cosa che oggi capita impunemente nella sharia islamica: viceversa, il cristianesimo, specie nella sua edizione “romana” mostrò da subito un grande rispetto per le reltà temporali cd. “penultime”.

Nè mai lo Stato Pontificio divenne uno stato confessionale in senso stretto, perchè in esso le minoranze religiose furono sempre riconosciute e tollerate, prima fra tutte la minoranza ebraica che, regando i Pontefici, potè istituire una Sinagoga e dare vita ad una ricca e vitale comunità. Diversamente, i Pontefici (vedi Innocenzo III, Gregorio IX) non mancarono mai di dire la loro nelle questioni civili, ma in modo non troppo difforme da come oggi Benedetto XVI “dice la sua” in materia di matrimonio, etica, economia, enunciando principi di “morale naturale e aconfessionale”, oggi denominati “dottrina sociale della Chiesa”.

Ora, siccome tali enunciazioni, non confessionali, ricalcavano in gran parte massime e regole già codificate nel diritto romano, non era infrequente che Stati e Tribunali civili medievali, non ancora organizzati e disciplinati negli organismi burocratici e “castali” di oggi, regolassero la propria giurisdizione su regole e criteri di diritto, su cui Pontefici, Cardinali, avevano espresso il loro parere.

Questa esperienza giuridica di grande comunicazione tra diritto laico e religioso (in nome della comune matrice giusnaturalista) trovò la massima espressione nello ius utroque (combinazione tra diritto civile-diritto canonico) di Bologna del XI Secolo e nel “momento d’oro” del diritto canonico intorno al XVI secolo. Un simile modus procedendi, di evidente e conclamata “porosità” tra diritto civile e diritto canonico, creava sovrapposizioni tra giurisdizione civile ed ecclesiastica: un caso conclamato la questione massonica: contro la Massoneria si pronunciò prima nel 1738 il Papa in nome del principio di derivazione romanistica (e ritenuto ius gentium) secondo cui erano in linea di principio illecite le associazioni segrete e che professassero la segretezza nei propri Statuti. Provvedimenti che in diverse occasioni alcuni Stati filo-papisti (es. Granducato di Toscana e Regno di Napoli) poi recepirono in proprie ordinanze iniziando la persecuzione dei massoni. Il cuore della questione Stato-Chiesa è qui, e come si può vedere si tratta di una questone molto più articolata, molto più complessa ed ingarbugliata della semplice “laicità” e della semplice accusa di “confessionalismo” rivolta ai Papi ed ai Cattolici.

Potrebbe oggi rinascere un simile modus operandi? La questione è molto discussa, tra gli ecclesiologi e i giuristi di diritto ecclesiastico: c’è qualcuno che rinviene nel Concordato Lateranense del 1929 un dispositivo tradizionale di immissione nel diritto civile italiano di norme tipiche del diritto canonico (es. l’esenzione dei chierici dal servizio militare, la rilevanza dello status di “prete apostata” che fino agli anni 60 comportava alcune penalizzazioni e preclusione nei concorsi pubblici), viceversa c’è chi ritiene superata questa funzione del Concordato come custode dei “privilegi” giuridici della Chiesa, ritenendo acquisita l’idea che il Concordato, non mutando la fondamentale “autonomia” anche disciplinare tra Stato e Chiesa (vedi art. 07 Cost.), non possa determinare “limitazioni” in senso stretto di sovranità giuridica da parte dello Stato (così COLAIANNI, Laicità e prevalenza delle fonti di diritto unilaterale sugli accordi con la Chiesa Cattolica in Politica del diritto, Vol. XLI, nr. 02, giugno 2010).

Viceversa, altri rinvengono la conservazione di una relativa funzione di “privilegio giuridico” ecclesiastico nel Concordato, ma aderiscono ad una nozione di “diritto concordatario”, come diritto finalizzato ad individuare le fonti e le procedure per la regolazione di “sensibili” del rapporto Stato-Chiesa come lo status degli insegnanti di religione, i beni ecclesiastici etc. (ASTORRI, I concordati di Giovanni Paolo II, in Civitas, III, nr. 02/2006).

 Contro, però, l’accusa comunemente invalsa delle “ingerenze” della Chiesa negli affari degli Stati sulle questioni del divorzio, aborto, eutanasia, va detto che ormai il Concordato non è più uno strumento tanto efficace in questo senso. Ecco, perchè la questione della “laicità” andrebbe quantomai aggiornata. Oggi, comunque, è pressocchè impossibile la riproposizione di vere e proprie sovrapposizioni tra Stato e Chiesa nell’ambito dei diritti civili (matrimonio etc.) come ad esempio si verificò in occasione della “questione massonica” nel Sec. XVIII: soprattutto il declinare del cattolicesimo, come religione “di minoranza” rende oggi molto difficile riprodurre leggi civili contro divorzio, aborto etc., le quali oggi non troverebbero più il consenso maggioritario di ieri. Viceversa, anticamente, il cattolicesimo era “senso comune” presso le popolazioni; pertanto, in nessuno non destava meraviglia se un Re o un Giudice, per emettere una legge o una sentenza anche su aspetti rilevanti della vita civile (es. associazioni), si richiamava a pronunciamenti ufficiali del Papa in fatto di diritti e “morale naturale”. 

Venendo alla Storia d’Italia e all’impatto che l’intransigenza della Chiesa ebbe sull’unificazione nazionale, gli storici si sono divisi, dando vita a continue controversie. Dire, comunque, che la Chiesa disconobbe l’Italia come Nazione contro una supposta “volontà popolare” che era maturata in questo senso, è però ancora una grave inesattezza: nessun cattolico, infatti, alla vigilia dell’Unità d’Italia, disconobbe il carattere unitario delle popolazioni italiane.

Ciò che divideva i cattolici era il modo per valorizzare tale unità nazionale: alcuni (Monaldo Leopardi) ritenevano che il migliore garante dell’Unità Nazionale fosse il cattolicesimo e che  il Congresso di Vienna avesse trovato la formula ideale per garantire la sanità cattolica dell’Italia, restituendo al Papa la piena giurisdizione spirituale e all’Austria la giurisdizione “politica” sull’intera Cristinanità. Altri (Gioberti) cercarono di risolvere nella dialettica storicistica e filosofica la necessità di un’unificazione nazionale della Penisola. Altri ancora (Luigi Taparelli d’Azeglio, fratello del più celebre Massimo) non negarono in via di principio la bontà dell’Idea Nazionale, ovvero non negarono in linea teorica l’opportunità e l’utilità che all’Unità Culturale facesse seguito anche l’Unità Statuale, ma ne ritenevano non maturi i tempi, temendo soprattutto che i “diritti delle nazionalità” divenissero altrettanti “cavalli di Troia” per seminare nell’Europa disordini (sociali e geopolitici) paragonabili alla Rivoluzione Francese.

Alla fine, furono queste le ragioni di opportunità che spinsero i Papi italiani alla purdenza e all’attendismo verso lo Stato italiano, anche dopo che la ferita di Porta Pia via via si allontanava e, con essa, anche l’acme della tensione tra Roma e Casa Savoia. In questo, la posizione dei Papi dopo Porta Pia, la loro politica “astensionista” (non expedit) rispetto alle elezioni politiche (ma non alle amministrative) verso lo Stato Italiano corse parallela alla vicenda della Terza Repubblica francese, uscita, dopo la Comune, in un contesto di grande confusione politica.

Preoccupati che la Terza Repubblica francese fosse l’ennesima costruzione politica artificiale e “giacobina”, dettata da movimenti politici e d’opinione agitati quanto violenti, i Papi non si sbilanciarono troppo nel riconoscere lo status quo, almeno finchè le vecchie casate “legittimiste” di Borbone e di Orlèans, non ancora estinte,  avrebbero (almeno teoricamente) potuto costituire una degna “classe dirigente di riserva”. Morto, poi, Enrico V di Orlèans e cadute le ultime speranze di restaurazione legittimista, a Leone XIII nel 1886 non restò che riconoscere la Repubblica, in nome del principio che la dottrina sociale della Chiesa non si identifica con nessun ordine politico. Non dissimile sarà la politica del Papa verso l’Italia, a disagio, nella sua funzione di pastore della Cristianità Universale,  nel riconoscere i diritti di una Monarchia Italiana, che non è altro il frutto in fondo di una “usurpazione” che la Casata dei Savoia aveva compiuto ai danni delle altre casate cattoliche d’Italia (per il Papa altrettanto degne e legittime nei loro diritti storici). 

Tale posizione che, però, via via verrà meno e ne saranno una chiara avvisaglia le prime deroghe al non expedit nelle elezioni generali del 1904, l’entrata a Montecitorio dei primi “deputati cattolici” (Meda etc.) e il trionfo del Patto Gentiloni del 1913: tutte operazioni rese possibili, da un lato, dall’aperta e conclamata impossibilità di ripresa delle vecchie casate legittimiste e, dall’altro, dal tumultuoso evolvere degli eventi politici e sociali a seguito del decollo industriale italiano e della coeva affermazione del Socialismo Ateo e materialista.

A fronte di tutto questo, appare manifesta e conclamata la stupidità di chi rinviene nella Chiesa un “nemico della Nazione italiana”. A parte che l’unficazione italiana, bene o male, con tutte le sue luci, ombre e contraddizioni del caso, si realizzò e divenne fatto compiuto con la Prima Guerra Mondiale e con l’esperienza del “fascismo” che (con tutti i suoi limiti, errori e anche orrori) cercò comunque di intercettare energie, entusiasmi e speranze di un’Italia che si scopriva Nazione e si scopriva capace di “pensare in grande” al proprio futuro; a parte cioè che le controversie sulla “questione romana” non impedirono all’Italia di formarsi come Nazione compiuta, nonostante tutto, anche sul versante politico, il cambiamento di tono  dei cattolici verso le ragioni dello Stato italiano sono evidenti e si colgono nelle posizioni filo-interventiste di un Giovanni Grosoli  e di un Luigi Sturzo, grandi dirigenti del movimento cattolico “astensionista”, favorevole il primo alla Guerra di Libia nel 1911  e favorevole il secondo alla Grande Guerra nel 1914, nonostante il “neutralismo” fosse il corollario ufficiale della posizione “intransigente” del Vaticano verso lo Stato Italiano. Segno che la posizione critica e polemica del Vaticano verso l’Italia non sarà la causa del debole senso nazionale degli italiani; a far questo, ci penseranno trent’anni dopo i tragici eventi dell’08 settembre 1943 nel pieno della Seconda Guerra Mondiale e in un mondo completamente cambiato rispetto a Porta Pia.

Manuel Durao Barroso: luci e ombre

Il 27 Giugno Bertie Ahern, il primo ministro irlandese e presidente del Consiglio europeo, ha annunciato che c’era un sostegno “schiacciante” per la designazione del premier portoghese Josè Manuel Durao Barroso alla presidenza della Commissione. Una soddisfazione più che comprensibile visto che una serie di veti incrociati avevano tolto dai giochi il britannico Chris Patten, attuale commissario per le relazioni esterne, e il premier liberale belga Guy Verhofstadt. Per Barroso c’è stato subito un coro di consensi. Berlusconi ha detto che “è il candidato ideale”, ma anche il laburista Tony Blair, il socialista Zapatero ed il socialdemocratico Gerhard Schröder hanno espresso il loro appoggio. Un altro commento positivo è arrivato dal leader uscente della Commissione, Prodi, il quale apprezza la scelta di Barroso “sia per il valore della persona, sia per la capacità del Portogallo di aver saputo partecipare costruttivamente al processo di integrazione europea”. Sul fronte dei partiti, il Pse si è mostrato tiepido ed ha espresso dubbi sulla “esperienza europeista” di Barroso e sulla sua capacità di “comunicare l’idea di Europa in un’Unione allargata”. Dello stesso avviso il gruppo liberale: La Sinistra Unita ha annunciato che voterà contro la sua nomina.

L’unico gruppo parlamentare che sostiene Barroso è il Ppe: Hans-Gert Poettering, il capogruppo, si è detto entusiasta per la candidatura. La posizione del Ppe era peraltro scontata, visto che Barroso, che è leader del Partito Socialdemocratico (Psd) della coalizione di governo di centro destra, fa parte del gruppo. Barroso si definisce “un moderato, un centrista, un riformatore antistatalista, ma non un fondamentalista neo liberista”. Egli è nato politicamente negli anni ’70, durante la rivoluzione dei garofani, come militante dell’estrema sinistra maoista. Nominato primo ministro (aprile 2002), a capo di una coalizione composta dal Psd e dalla destra nazionale, adotta una politica di austerità per riportare il deficit del paese sotto il limite del 3% fissato dal patto di stabilità. I portoghesi vedono cambiare radicalmente in peggio il loro livello di vita: gli stipendi sono fra i più bassi d’Europa e i prezzi fra i più alti, in piena recessione (crescita pro capite -1%, e -2,2% quella delle imprese – fonte Cia). Nelle elezioni europee il Psd subisce la peggior sconfitta elettorale della sua storia, mentre l’opposizione socialista, con il 44,52% supera la coalizione al governo di oltre 11 punti percentuali. In sostanza, a presiederela Commissione va uno dei pochi esponenti del Ppe ad aver perso seccamente le elezioni.In un’intervista rilasciata all’Herald Tribune (a dicembre e poi subito dopo la candidatura ufficiale) Barroso esprime il suo pensiero circa il rapporto tra Usa ed Unione europea. L’allora primo ministro portoghese afferma va a dicembre che l’Ue doveva essere la controparte (“conterpart”) e non il contrappeso (“counterweight”) degli Usa, aggiungendo anche che un’Europa “forte” era negli interessi primari (“basic”) degli Stati Uniti.

Un concetto decisamente nuovo visto che, da alcuni anni, c’è la sensazione che gli Usa temano una potenza economica e militare oltre l’Atlantico specialmente se, come afferma ancora Barroso, l’Europa dovesse dotarsi anche di un esercito. Va rilevato, riguardo il rapporto tra l’ex premier portoghese e gli Usa, il fatto che Barroso ha partecipato al summit tenutosi nelle isole Azzorre (portoghesi) tra Bush, Blair e Aznar per l’organizzazione della guerra in Iraq. Anche se – in odore di candidatura – Barroso ha definito “ambigua” la sua presenza al vertice delle Azzorre, egli tuttavia ha sempre sostenuto l’entrata in guerra contro l’Iraq. E, quanto alla posizione dei paesi non interventisti, ha affermato che “le contrapposizioni ideologiche sfortunatamente sono state anteposte ai fini strategici”, bollando così il pacifismo come un’ideologia della sinistra. Se alla presidenza statunitense ci fosse stato Clinton – ha affermato Barroso – tutti gli Stati europei avrebbero appoggiato una sua entrata in guerra. Occorre comunque vedere se, in questo caso, ci sarebbe stata una guerra in Iraq. Inoltre, come spiegare con la tesi della ideologia di sinistra la posizione della Francia di Chirac, che certamente non è di sinistra? Nell’intervista Barroso si difende anche dall’insinuazione che l’appoggio ricevuto da Germania e Francia non sia stato affatto disinteressato. Barroso avrebbe infatti promesso alla Germania un supercommissario per l’economia e alla Francia un commissario per il mercato interno e la competizione.

Il futuro leader della Commissione ha rivendicato a sé la facoltà di nominare i commissari in modo secco e categorico. È da notare però che la scelta del commissario agli esteri è stata fatta su pressione dei membri del Consiglio che all’unanimità hanno indicato il socialista Javier Solana. Secondo la Costituzione europea il commissario agli esteri è dotato di larghi poteri ed è anche vicepresidente della Commissione. Si profila quindi una Commissione in cui Barroso – di cui l’Herald Tribune sottolinea il modo di parlare “a raffica” (“cannon-shot style”) – tenderà ad avere un ruolo di rappresentanza, mentre i vari supercommissari avranno il compito di amministrare l’Unione a 25.

Le tappe dell’insediamento di Barroso alla presidenza della Commissione- 20-22 Luglio Il nuovo Parlamento europeo, riunito in sessione plenaria a Strasburgo, ratifica la candidatura di Barroso alla presidenza della Commissione.- Fine Luglio Il Consiglio dei ministri degli Esteri europeo, dopo aver vagliato le candidature proposte dal presidente della Commissione, stila la lista dei 24 candidati (uno per ogni paese) alla carica di commissario.- Fine Ottobre Il Parlamento europeo vota la fiducia alla nuova Commissione.- 1° Novembre Insediamento effettivo della nuova Commissione.

La numerologia come forma di predizione del futuro

Affascinante e misteriosa, la Numerologia è la disciplina antichissima che si propone di studiare il significato simbolico dei numeri, attraverso i quali prevedere il futuro.

Utilizzata come tecnica analitica già da babilonesi ed egizi, scrigno della comprensione sulla psicologia umana, quest’arte viene spesso associata anche al filosofo greco Pitagora, che riteneva il numero come principio fondante di tutte le cose, oltre a sostenere che l’essenza stessa della realtà fosse di natura matematica.

tarocchi usati in cartomanzia numerologia chiromanzia e divinazione

Nella sua visione, l’universo non risulta più immerso nel caos primordiale ma è bensì ordinato tramite un preciso disegno, interpretabile con i numeri: se ogni cosa rappresenta un numero, allora anche la materia sarà, di conseguenza, fatta di numeri. Tutto ciò si ripercuote sugli esseri umani: il numero è in relazione con la nostra personalità e con la posizione nelle attività che svolgiamo durante la nostra intera esistenza.

I numeri sono importanti, come nella cartomanzia

I numeri sono “divini”: basta pensare alla sezione aurea di Fibonacci (uno dei più grandi matematici di tutti i tempi), in grado di individuare il rapporto fra le grandezze; tutto ciò consentiva di usare questa proporzione per rappresentare l’orizzonte delle cose.

L’utilizzo dei numeri si ravvisa anche in altri ambiti esoterici e mistici, come la chiromanzia, la cartomanzia e molti altri. Proprio nel caso della cartomanzia, e della lettura dei tarocchi, sempre più professioniste decidono di sfruttare i fondamenti della numerologia durante i propri consulti professionali di cartomanzia.

I numeri diventano poi anche potenti simboli: sappiamo dal grande psicoanalista Jung che, oltre ad identificare gli Archetipi (simboli universali con specifiche valenze energetiche, immagini originarie dell’inconscio collettivo), essi corrispondono a determinati simboli, che possono sfociare in lettere, pianeti e suoni, al fine di creare il ritmo universale. Jung sosteneva che il numero fosse un’entità spirituale ispirato a sua volta da leggi cosmiche provenienti dalla sua collocazione naturale.

Anche la Cabala Ebraica, infine, attribuisce alla numerologia una grande importanza: all’interno della Torah (Bibbia ebraica) si possono riscontrare moltissimi casi dove nomi e numeri vengono associati e dove ogni numero è abbinato ad un significato mistico e metafisico. Gran significato viene dato al suono: pronunciare un nome determinerebbe infatti le vibrazioni del nostro spirito, capaci di scatenare influssi di energia, sia positiva che negativa.

Qual’è il rapporto tra futuro e numeri?

Ma come si fanno a determinare e calcolare queste sinergie e queste connessioni matematiche?

Innanzitutto bisogna guardare alle caratteristiche caratteriali di ogni individuo, che si evincono assegnando ad ogni lettera del nome e del cognome il suo numero corrispondente.

A tal proposito, è utile visionare le Tavole numerologiche che, composte da diagrammi, consentono di trasformare nome, cognome e data di nascita in veri e propri numeri. Nel dettaglio, possiamo vedere che i numeri semplici, quelli dall’1 al 9, sono capaci di illustrare gli enigmi della nostra personalità, mentre quelli della data di nascita dovrebbero dare indicazioni sul nostro destino.

I numeri maestri, quelli dall’11 al 22 invece, richiamano un afflusso di energie superiori da sostenere nel mondo quotidiano, quindi andrebbero riconvertiti nelle valenze dettate dai numeri semplici. Questi ultimi, quindi, andrebbero a rappresentare i punti deboli e i punti di forza di ognuno di noi, suggerendo come potrebbero influire sugli eventi fondamentali della nostra vita.

Una vera e propria analisi numerologica che scruta matematicamente ogni campo esistenziale: amore, famiglia, lavoro, salute e così via, indicandoci piccole vie da considerare e intraprendere quando ci troviamo in una difficile fase di stallo.

Naturalmente quest’interpretazione non va improvvisata: la numerologia e la consultazione di queste mappe dev’essere effettuata da un esperto, in grado di investigare la realtà con serietà e scrupolo. La numerologia (detta anche Gemetria) è oggi considerata, secondo profondi studi di settore, un’arte preziosa, uno strumento potenzialmente capace di decifrare e svelare i meccanismi più nascosti dell’universo e dell’uomo stesso.

Importante è inoltre l’approccio con il quale ci si pone di fronte a questa disciplina che, comunque, non è riconosciuta come scientifica: le sue interpretazioni, sebbene basate sul sistema matematico, comprendono una forte parte di intuizione. La numerologia potrebbe così non soddisfare le aspettative di verità, ma forse è proprio questo suo aspetto di precarietà e di mistero a renderla così affascinante.